A loro non scappa niente. I cavalli si accorgono e sentono qualunque nostro umore, atteggiamento, azione buona o maldestra. Il minimo gesto tradisce il nostro stato d’animo. L’atteggiamento mentale, la nostra capacità di ascolto e il modo di comunicare la nostra energia hanno molta più influenza sui cavalli rispetto ai nostri gesti e le nostre azioni. Facciamo quindi attenzione sempre a come ci poniamo.
Qui e ora
Per essere ricettivi ai segnali emessi dai nostri cavalli cominciamo a svuotare la nostra mente da ogni pensiero. Stiamo ‘qui e ora’ senza immaginare il futuro, senza intenzioni particolari. Cerchiamo di prendere coscienza del nostro stato mentale: siamo nervosi, arrabbiati o abbiamo paura? Oppure siamo fiduciosi? Questa analisi ci consente di liberarci di un gran numero di pensieri parassiti e ci induce a ritrovare la concentrazione sulla relazione con il nostro cavallo. Saremo così più aperti e disponibili a recepire i messaggi che ci invia. Lo facciamo anche tra noi esseri umani: prima di avere scambiato due parole sappiamo percepire l’atteggiamento di chi ci sta di fronte. Dobbiamo applicare questa capacità nella nostra relazione con i cavalli perché ci consente di adattare il nostro comportamento a ogni cavallo.
Il cavallo ci pone delle domande
In un secondo momento, possiamo esprimere le nostre intenzioni e quindi richiedere i nostri obiettivi di lavoro. Dobbiamo essere chiari e determinati ma lasciare al cavallo un margine di libertà sufficiente che gli consenta di esprimere le sue domande: “è questo che vuoi da me?”. Restiamo concentrati su questo dialogo silenzioso, la domanda viene espressa nella maggior parte dei casi sotto forma di microscopici movimenti, un semplice inizio di risposta, una specie di test per capire se è quello che il cavaliere vuole da lui. Per esempio, quando il cavallo avanza con il suo naso verso il basso, è importante essere molto attenti e assecondarlo. È l’occasione di cedere con le mani per dirgli: “Sì, è questo che voglio”. Se non siamo attenti, pensiamo ad altro e non rilasciamo concedendogli di abbassare il naso bloccando quindi il suo movimento, il cavallo lo interpreterà come un divieto a lasciargli allungare il collo. È proprio in questi momenti che si verifica la reciproca incomprensione e l’inizio dell’utilizzo della forza che talvolta cresce fino a diventare imposizione violenta. Più lontane e incomplete sono le risposte più sarà difficile tornare indietro. Dobbiamo sempre tenere in mente che i cavalli hanno bisogno di essere guidati e rassicurati continuamente su ciò che stanno facendo. È la loro natura di animali da branco.
L’assetto, mezzo di comunicazione
Una volta presa coscienza di quanto detto sopra, facciamo una riflessione su uno dei parametri fondamentali dell’equitazione di Michel Robert: l’assetto. È legato all’equilibrio e alla scioltezza. La stabilità dell’assetto deve evitare che il cavaliere si aggrappi con le mani o con le gambe per sostenersi. Il buon assetto permette alle gambe di essere intelligentemente vicine al cavallo e alle mani di essere in contatto con la bocca del cavallo.
I manuali codificano la posizione ‘tipo’ dando indicazioni precise su come deve essere la posizione giusta in sella. Attenzione, talvolta rispettare alla lettera quanto prescritto non necessariamente induce al buon risultato. Pur nel rispetto dei parametri codificati, ogni cavaliere deve avere come obiettivo la posizione nella decontrazione del corpo. Il rilassamento nell’equilibrio del corpo fa sì che il cavaliere entri in modo naturale nella giusta posizione e che limiti i movimenti del proprio corpo al naturale accompagnamento dei movimenti del corpo del cavallo.
Molti cavalieri rispettano i parametri della posizione in sella ‘da manuale’ senza riuscire però a ‘sentire’ il proprio corpo unirsi a quello del cavallo e risultano rigidi e fissi sopra la sella; rimbalzano sulla sella al trotto seduto con il busto rigido e troppo dritto oltre la verticale, con le mani fisse e le braccia rigide. Al contrario, un assetto morbido con il cavaliere che avvicina il suo centro di gravità al baricentro del cavallo, sarà in grado di adattarsi a ogni tipo di equitazione perché troverà sempre il modo di ‘inserirsi nell’economia delle forze’, con cui si intende che il cavaliere deve sempre limitare i suoi interventi al minimo indispensabile, che dipende dalla capacità di comprendere e recepire del cavallo. L’efficacia di un aiuto dipende molto più dall’intelligenza con cui viene applicato che dall’intensità della sua messa in opera.