Le derive di un certo endurance non solo stanno rovinando uno sport bellissimo, ma stanno anche uccidendo i cavalli.
Da dove cominciare? Dall’incredulità davanti all’orrore di foto e video che circolano liberamente in rete? Dall’analizzare le coscienze elastiche di chi permette che certe cose accadano? Da qualunque parte lo si guardi quello che succede nell’endurance mediorientale è terrificante. Gli appassionati hanno sempre immaginato le lunghe maratone dell’endurance come il massimo esempio di coesione nel binomio, dove la capacità del cavaliere di comprendere anche la più piccola variazione nello scorrere del movimento del suo cavallo era vitale, dove era la fiducia fra i due elementi del binomio a far sì che si potesse arrivare sani e salvi in fondo a un percorso inimmaginabile senza il giusto allenamento. Una sorta di atto eroico basato sul concetto più importante dell’equitazione sportiva: lottare insieme per un obiettivo comune. Ora l’immaginazione e la visione bucolica hanno purtroppo lasciato il posto a una realtà ben diversa e l’impatto è stato violentissimo.
L’ORRORE SBANDIERATO
In questi giorni abbiamo chiesto aiuto alla giornalista inglese Pippa Cuckson, un’autorità nel campo e la persona che più di tutte lotta da anni contro questo scempio.
Sul web c’è una vasta quantità di foto che vanno al di là dell’immaginabile: briglie con solo il morso montato, capezzine così strette da chiedersi come possano i cavalli respirare, personaggi che sono a malapena in grado di battere la sella: come possono questi ‘cavalieri’ amministrare le energie dei loro cavalli se non sono in grado di non sbattergli sulla schiena?
Si passa poi alle visite veterinarie con cavalli arrivati al traguardo con entrambi i pastorali anteriori sanguinanti, cavalli zoppi lasciati continuare a cui vengono anestetizzati i nervi in modo da cancellare il dolore, cavalli il cui battito cardiaco viene abbattuto per rientrare nei parametri ai cancelli veterinari tenendogli le orecchie schiacciate. Talvolta a morire è anche più di un cavallo a gara e molti spariscono senza sapere che fine abbiano fatto. A quanto pare i cavalli lasciati morire abbandonati nel deserto non sono una rarità.
LA BORSA O LA VITA
Ma come siamo arrivati a questo? La risposta è semplice: i cari vecchi soldi. Molte gare hanno un montepremi da 2/3 milioni di dollari e per molti cavalieri è difficile resistere, anche se questo significa far fuori un cavallo. Questi fantastilioni che attirano i cavalieri di tutto il mondo e fanno chiudere un occhio a chi dovrebbe controllare.
Sceicchi, famiglie, amici, accoliti e simpatizzanti hanno permesso una virata che è iniziata diverso tempo fa comprandosi la sponsorizzazione e una presenza sempre maggiore in eventi in giro per il pianeta, Italia compresa. Lo Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, principale protagonista di questa bella iniziativa, nonché il proprietario di Godolphin, la scuderia da galoppo più famosa al mondo. È il marito di Haya di Giordania, Presidentessa della FEI per tre mandati; difficile ora stabilire quale consapevolezza avesse la Principessa, ma questo modo di intendere l’endurance si è fatto sempre più spazio.
Negli anni non sono mancate polemiche, né cavalieri squalificati per doping, monta pericolosa, scambio di cavalli e torture varie tanto che nel 2015 la FEI arrivò a interdire gli interi Emirati dal partecipare a eventi FEI. E più la FEI vestiva i panni del censore più dall’altra parte si faceva strada una soluzione alternativa: rimaneggiare le corse ‘in casa’.
UNA SOLUZIONE GENIALE
Nel 2013 gli UAE trovarono un modo geniale per non sottostare ai regolamenti FEI: trasformare alcuni dei suoi storici CEI 120 km, e cioè gare internazionali, in CEN e cioè gare nazionali che quindi non dovevano sottostare ai regolamenti FEI. Più semplice di così!
Per evitare di perderci in popolarità bastava poi invitare orde di cavalieri stranieri offrendo pacchetti extra lusso e aumentare ancora il montepremi. Le gare internazionali sono diventate nazionali, solo formalmente, e sono definite ‘minori’ (CIM). Nell’endurance internazionale ci sono 3 livelli. Un CEI2* però difficilmente può essere considerato una ‘gara minore’ visto che si tratta di 120 km da percorrere in un giorno. Su questa distanza si disputano i Campionati del Mondo dei Giovani Cavalieri e dei Giovani Cavalli, ma anche la maggior parte delle gare con montepremi più alto nei Paesi Arabi e in Europa.
La maggior parte dei cavalieri locali, official e UAE trainer non stanno rinnovando affiliazioni e tesseramenti. A cosa porta questo? Al fatto di poter ‘giocare’ con le proprie regole in totale libertà.
NULLA OSTA
Se siamo arrivati a questo punto è in parte dovuto alle pregresse negligenze della FEI. Ma non si può ascrivere tutto a quell’unico ente. Le Federazioni Nazionali che non hanno nulla da obiettare quanto alla partecipazione dei loro cavalieri a queste competizioni? Chiunque voglia partecipare a competizioni nazionali all’estero deve ottenere un “No Objection Certificate” e cioè un nulla osta dalla sua Federazione. Molte Federazioni scoraggiano i loro cavalieri dal partecipare a eventi in cui gli standard di sicurezza dei cavalli siano messi in dubbio. La FEI da sola non può farcela: i suoi regolamenti possono essere cambiati solo una volta all’anno, all’Assemblea Generale di tutte le Federazioni Nazionali (FN). Il Board FEI ha cercato di coinvolgere le FN per gestire le emergenze di welfare in ogni momento invece che aspettare il semaforo verde da parte dell’Assemblea Generale. Di tutte le Federazioni consultate solo cinque (Canada, USA, Gran Bretagna, Namibia, Germania) hanno espresso un parere positivo sulla proposta. E le altre 132, tra cui peraltro ci siamo anche noi?